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Archivio di Stato di Lucca

DANTEDì: MATERIALI DANTESCHI DELL'ARCHIVIO DI STATO DI LUCCA

 

E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parëa s’era laico o cherco.

Quei mi sgridò: "Perché se’ tu sì gordo
di riguardar più me che li altri brutti?".
E io a lui: "Perché, se ben ricordo,

già t’ ho veduto coi capelli asciutti,
e se’ Alessio Interminei da Lucca:
però t’adocchio più che li altri tutti".

Ed elli allor, battendosi la zucca:
"Qua giù m’ hanno sommerso le lusinghe
ond’io non ebbi mai la lingua stucca".

(Inferno, XVIII, 115-126)

 

Del nostro ponte disse: "O Malebranche,
ecco un de li anzïan di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch'i' torno per anche

a quella terra, che n’è ben fornita:
ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita".

Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo.

Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,
gridar: "Qui non ha loco il Santo Volto!

qui si nuota altrimenti che nel Serchio!
Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio".

(Inferno, XXI, 37-51)

 

Questi", e mostrò col dito, "è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; […]

Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
che più parea di me aver contezza.

El mormorava; e non so che "Gentucca"
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì li pilucca.

"O anima", diss’io, "che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga".

"Femmina è nata, e non porta ancor benda",
cominciò el, "che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda […].

(Purgatorio, XXIV, 19-20, 34-45)

 

Premessa: Lucca nella Divina Commedia

Una carrellata di materiali danteschi conservati presso l’Archivio di Stato di Lucca non poteva che essere introdotta dai versi che Dante dedicò alla città toscana nella Divina Commedia: all’unico lucchese immerso nello sterco della seconda bolgia dell’ottavo cerchio infernale, l’adulatore Alessio Interminelli, segue la moltitudine dei barattieri, di cui Lucca, dice un diavolo nero rivolgendosi ai Malebranche, «è ben fornita». I barattieri, ovvero coloro che condussero gli uffici pubblici in modo disonesto, sono immersi nella pece bollente della quinta bolgia dell’ottavo cerchio, e se tentano di riemergere sono afferrati e straziati dai bastoni uncinati dei diavoli Malebranche. In questo canto Lucca non è nominata esplicitamente, bensì identificata attraverso una serie di riferimenti di natura politica, socio-culturale e geografica: gli Anziani (organo esecutivo della Repubblica lucchese)[1]; Zita, la domestica di casa Fatinelli, vissuta nel XIII secolo e venerata come santa; Bonturo Dati, popolano, di parte nera, governatore della città nel 1308 (ironicamente indicato come l’unico lucchese a non praticare la baratteria, quando invece era il primo); il Volto Santo e il fiume Serchio. La condanna che Dante, da guelfo bianco, emette nei confronti di Lucca nera, lascia il posto a quella che gli studiosi hanno interpretato come una sorta di palinodia, nel canto XXIV del Purgatorio: qui, il rimatore Bonagiunta Orbicciani (XIII secolo) predice al Poeta l’incontro con una giovane donna[2] che gli farà piacere la sua città, cioè Lucca, «benché molti ne parlino male» («come ch’om la riprenda»).

 

Due documenti danteschi

L’Archivio di Stato di Lucca vanta un patrimonio documentario antico di ragguardevole consistenza che arriva a coprire interamente, con le pergamene sciolte del fondo Diplomatico, l'età medievale, e comprende numerosi documenti di interesse dantesco. Per l’occasione del Dantedì ne abbiamo scelti due. Il primo, datato 29 maggio 1243 (Diplomatico, Spedale di S. Luca), è un atto rogato dal notaio Armaleone ed esemplato dal «giudice ordinario e notaio dell'Aula imperiale» Bonagiunta Orbicciani, il rimatore lucchese della scuola poetica toscana incontrato da Dante nel canto XXIV del Purgatorio, e citato dal Poeta anche nell'opera De vulgari Eloquentia (I XIII 1). La pergamena è un originale autografo di Bonagiunta Orbicciani comprensivo del signum notarile [foto 1][3].

Il secondo documento è l’unica testimonianza diretta di una presenza degli Alighieri a Lucca, della quale la profezia di Bonagiunta Orbicciani in Purgatorio XXIV rappresenta un indizio. È tratto dai protocolli di ser Rabito Torringhelli (Notai, parte I, 58), ed è datato 21 ottobre 1308 [foto 2 e foto 3]. Si tratta di un contratto di cambio con cui la società fiorentina dei Macci acquistò dalla società lucchese dei Moriconi 600 lire di tornesi piccoli al prezzo di 762 lire di buoni denari lucchesi. Fra i testimoni dell’atto compare un «Giovanni, figlio di Dante Alighieri di Firenze» [foto 4, foto 5, foto 6][4]. Dal fatto che un figlio di Dante si trovasse a Lucca nel 1308 non è ovviamente possibile dedurre la presenza del poeta stesso nella città, per giunta retta in quel momento da un governo di Parte Nera, e tuttavia altre circostanze segnalate dagli studiosi inducono a ritenere plausibile un soggiorno del Nostro a Lucca, collocabile tra la fine del 1307 e i primi mesi del 1309, anno in cui il Comune rinnovò il divieto di ingresso nel territorio lucchese per i fuoriusciti fiorentini[5]. A Lucca il poeta potrebbe inoltre aver frequentato la ricca biblioteca del convento domenicano di S. Romano, di cui fu priore Bartolomeo Fiadoni (1240 ca.-1327), allievo e confessore di S. Tommaso d’Aquino, autore di testi storici (celebri i suoi Annales) ma anche di opere di natura filosofico-politica alle quali Dante probabilmente attinse.

 

Frammenti di codici danteschi

Fin dall’età medievale è documentata la prassi di utilizzare fogli interi o anche piccoli pezzi di codici pergamenacei per rilegare volumi di varia natura o rinforzarne le legature. Il fenomeno delle pergamene di riuso è particolarmente attestato in Italia e i fondi notarili degli Archivi di Stato sono ricchi di questo tipo di materiale, che ogni volta ripropone al conservatore la spinosa e controversa questione se sia preferibile procedere al recupero, e dunque al distacco, delle pergamene, o piuttosto lasciare le cose come stanno, avendo cura di «salvaguardare l’oggetto nella sua complessità e unicità»[6], nel rispetto della «stratificazione storica delle carte»[7].

Come molti altri Archivi di Stato, anche quello di Lucca possiede un ricco nucleo di frammenti membranacei di codici usati come legature. Fra questi, vi sono i frammenti di codici danteschi, risalenti al XIV secolo. Ad oggi se ne contano cinque. I primi recuperi si devono a Salvatore Bongi (Direttore dell’Archivio di Stato di Lucca dal 1859 al 1899), e sono confluiti nella cartella n. 93 (e 93bis) della Biblioteca Manoscritti. Si tratta di frammenti della Divina Commedia con commento di Iacopo della Lana. Ve ne mostriamo alcuni:

- [foto 7]: carta 22r contenente frammenti del commento di Iacopo Della Lana al canto XXIV dell’Inferno, corredato, sulla colonna destra, in basso, di disegno esplicativo.

- [foto 8]: particolare del disegno esplicativo

- [foto 9]: particolare di capitale ornata “O” per il primo verso del canto XXV del Purgatorio

Un altro frammento dantesco è la carta conservata in Biblioteca Manoscritti n. 247. Il recto [foto 10] riporta i vv. 133-145 del canto XXXIII del Purgatorio, e i versi 8-36 del canto I del Paradiso, preceduti, questi ultimi, dal prologo, in forma compendiata, di Iacopo della Lana. Un’ampia lacerazione sul margine superiore destro interrompe la continuità del testo riportato e della decorazione a motivi vegetali, in oro e azzurro, che attraversa l’intercolumnio e piega a destra sul margine inferiore. Rubriche e segni di paragrafo in rosso e azzurro. Il frammento di codice fu utilizzato per rilegare gli atti del notaio Carello Carelli relativi all’anno 1592, come si desume dalla nota in basso a destra.

Altri frammenti di codici danteschi sono conservati nella busta n. 17 (codex 418 e 645) della raccolta Fragmenta codicum, curata dall’ex Direttore dell'Archivio di Stato di Lucca Giorgio Tori.

- [foto 11]: particolare di capitale “R” ornata per il primo verso del canto XVII del Purgatorio.

 

Edizioni di opere dantesche nella Biblioteca di Salvatore Bongi [foto 12]

Classificata come "biblioteca d'autore", ovvero come «raccolta libraria privata e personale che, per le sue caratteristiche interne, tramite i singoli documenti e nell'insieme della collezione, sia in grado di testimoniare l'attività intellettuale, la rete di relazioni, il contesto storico culturale del suo possessore»[8], la biblioteca di Salvatore Bongi comprende un nucleo di tredici edizioni di opere dantesche, Divina Commedia in primis, ma anche De Monarchia, Vita nuova, De vulgari Eloquentia. Fra gli appunti di vario argomento presi dal Bongi, e confluiti nel suo archivio privato, si conserva inoltre, al numero 5973, una nota sulle Rime di Dante Alighieri e di Giannozzo Sacchetti messe ora in luce sopra codici palatini da Francesco Palermo (1857). [foto 13]

Per quanto riguarda le edizioni della Divina Commedia della Biblioteca Bongi spicca quella curata dall'Accademia della Crusca, e pubblicata nel 1595 per i tipi di Domenico Manzani [foto 14], contenente al suo interno un disegno che riproduce Profilo pianta e misure dell’Inferno di Dante secondo la descrizione d’Antonio Manetti fiorentino[9]. [foto 15] L'edizione è impreziosita da capilettera che riproducono le imprese degli Accademici, connesse, com'è noto, alla simbologia del grano e del pane.  [foto 16, foto 17, foto 18]

Meritevole di menzione è anche La Divina Commedia di Dante Alighieri secondo la lezione di Carlo Witte" (1864-1866), corredata di cento antiche incisioni tratte, come si legge nell'Avvertenza degli Editori, «dall'edizione veneta del 1491, finita a' dì 3 marzo, lavoro di Bernardino Benali e Matthio da Parma»[10]. [foto 19, foto 20, foto 21]

Segnaliamo infine un'edizione dei Sette salmi penitenziali trasportati alla volgar poesia da D.A. ed altre sue rime spirituali etc. Illustrate dall’ab. F. Saverio Quadrio (Bologna, Gottardi 1753) [foto 22, foto 23, foto 24); De la Volgare Eloquentia (Vicenza, Tolomeo Ianicolo, 1529) [foto 25]; La spada di Dante Alighieri poeta fiorentino etc., (1534), raccolta di passi danteschi «utile a fuggire il vizio, et seguitar virtù», singolare opera del canonico veneziano Niccolò Liburnio (1474-1557). [foto 26]

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[1] Per l’”Anziano di Santa Zita” al quale allude Dante è stata proposta l’identificazione con Martino Bottario, morto nel 1300.

[2] Che la giovane donna si chiamasse Gentucca, nome effettivamente attestato a Lucca, è escluso da Alessandro Barbero, anche con riferimento all’interpretazione dei commentatori trecenteschi: A. Barbero, Dante, Bari-Roma, Laterza, 2020, pp. 223, 321-322 (nota 24).

[3] Altri autografi di Bonagiunta Orbicciani sono segnalati nel sito ALI (Autografi dei Letterati Italiani), un progetto coordinato dalla Università Sapienza di Roma, e realizzato insieme all'Università degli Studi Roma Tre, e all'Università degli Studi del Sacro Cuore di Milano: www.autografi.net.

[4] Un Giovanni, figlio di Dante Alighieri, è citato anche in un documento del 1314 conservato nel fondo Notarile antecosimiano dell'Archivio di Stato di Firenze.

[5] Un agile riepilogo della questione in: A. Barbero, Dante, cit., pp. 223-224.

[6] C. Prosperi, Pergamene di riuso nelle legature antiche; smontare o lasciare in situ? in A. Cifres (a cura di), Memoria fidei: archivi ecclesiastici e nuova evangelizzazione. Atti del Convegno, Roma, 23-25 ottobre 2013, Roma. Leggo il contributo nella versione disponibile online sul sito memoriafidei.va.

[7] Ibidem.

[8] G. Zagra, Biblioteche d'autore: www.aib.it/aib/cg/gbautd07.htm3.

[9] Antonio Manetti (1423-1497) è stato un matematico e architetto fiorentino, considerato il fondatore degli studi sulla cosmografia dantesca.

[10] La Divina Commedia di Dante Alighieri secondo la lezione di Carlo Witte, prima edizione italiana adorna di cento antiche incisioni, Milano, G. Daelli e C. Editori, 1864, vol. I, p. XI.



Ultimo aggiornamento: 25/09/2024